Come forse saprete, in questo periodo a Milano si sta tenendo il Festival Letterario ideato da Elisabetta Sgarbi (La Nave di Teseo), La Milanesiana. Vista la presenza di Banana Yoshimoto all’evento mi piaceva l’idea di parlarvi un po’ di questa autrice tanto famosa e acclamata dai giovani giapponesi e qui ancora circondata da un alone di mistero.
Sin da giovinetto sono sempre stato in contatto con la cultura giapponese. Mia sorella ha studiato la lingua e io, in qualche modo, mi ci sono ritrovato in mezzo. Per molto tempo sono stato più interessato a manga e anime (pur essendo affascinato dalla storia e dal folklore del Paese del Sol Levante) e solo negli ultimi anni la mia attenzione è caduta sulla letteratura, in particolare su Haruki Murakami e, per l’appunto, Banana Yoshimoto.
Innanzitutto un appunto sul nome. Banana è un nome d’arte scelto dalla scrittrice (che in realtà si chiama Mahoko) in parte perché innamorata dei fiori rossi del banano, pianta di cui conserva un esemplare nella sua casa a Tokyo, e soprattutto perché è un nome che si pronuncia allo stesso modo in una grande varietà di lingue. Nasce il 24 luglio 1964 a Tokyo, è figlia di un famoso filosofo e critico letterario giapponese di formazione marxista. Anche sua sorella, Haruno Yoiko, è una figura pubblica in Giappone, è infatti disegnatrice di anime. Inizia a usare lo pseudonimo soltanto dopo la laurea in arte alla Nihon University, con specializzazione in letteratura.
Le prime opere prendono vita durante il lavoro di cameriera in un golf club. Mi piace immaginare che Mahoko, tra un momento di pausa e l’altro, si sia messa a pensare alle trame dei suoi romanzi, con lo sguardo rivolto verso chissà quale storia. Così nasce Kitchen, il primo dei suoi romanzi a essere pubblicato. Pensate che, solo in Giappone, conta ben più di sessanta ristampe! Con quest’opera Banana vince il premio Kaien, premio assegnato agli scrittori esordienti, il premio letterario Izumi Kyoka (1988) e infine l’Umitsubame First Novel Prize. In Giappone diventa immediatamente quello che oggi definiremmo un fenomeno letterario. Da Kitchen poi vengono ideati un film diretto da Yim Ho e un drama per la televisione giapponese.
A partire da questo primo grande successo realizzerà una vera e propria cascata di testi che variano per genere dai romanzi ai racconti, inclusa la saggistica (Un viaggio chiamato vita). In Italia tutti i suoi libri sono editi da Feltrinelli, tra quelli tradotti troviamo Arcobaleno, Delfini, Andromeda Heights, Il lago, fino ad arrivare all’ultimo libro pubblicato, Another World. Il Regno 4. Banana poi, come molti giapponesi, è innamorata dell’Italia, e molto spesso i protagonisti delle sue storie viaggiano frequentemente con destinazione il Bel Paese, o vorrebbero farlo. E non a caso i suoi registi preferiti sono Dario Argento e Nanni Moretti.
Ha uno stile di scrittura semplice e asciutto ma riesce a comunicare con grande profondità pensieri ed emozioni dei personaggi. Tocca spesso tematiche di grande spessore come la morte, il dolore, l’amore, la solitudine ma soprattutto come reagire alla perdita, che sia di una persona cara o di qualcos’altro di meno definibile. A fare da sfondo a tutto ciò è il Giappone, con i suoi spiriti, capaci di influenzare la vita dei mortali e le vicende terrene. Molto spesso i protagonisti delle sue storie sono sensibili a queste presenze, personaggi di questo tipo li troviamo in Hard-boiled ma anche in Moonlight Shadow e in tanti altri romanzi. È un aspetto intrinseco alla cultura giapponese che l’autrice vorrebbe tramandare anche alle nuove generazioni.
Un altro aspetto affascinante è l’interesse per l’ambiguità di genere. Nei suoi romanzi un uomo diventa donna su un treno della metropolitana, un ragazzino indossa la divisa scolastica della fidanzata morta e così via (si potrebbero fare tanti altri esempi ma non mi dilungo). Dimostrando che l’autrice ha tutte le intenzioni di sondare l’animo umano e le sue espressioni. Qual è la reale identità di una persona nel suo io più profondo. Insomma, la semplicità della sua scrittura è solo apparente, un’armatura che nasconde qualcos’altro.
Altra tematica centrale è lo sconforto e la solitudine delle generazioni di giovani giapponesi. Come in una società, come quella nipponica, che avanza a passo di marcia, si rischi di lasciare qualcuno indietro, di scatenare sentimenti di inadeguatezza, dolore e isolamento. L’autrice in più di un’intervista ha sostenuto di scrivere anche per dare un attimo di sollievo, pur solo momentaneo, alla confusione in cui si trovano i giovani giapponesi. Con la speranza che questo possa aiutarli a raggiungere una nuova comprensione di sé.
Non tutti i critici sono concordi sul valore letterario delle sue opere, ma resta il fatto che vengono vendute e tradotte in tutto il mondo. Banana è capace di affrontare i temi anche più scabrosi, con la massima disinvoltura. Se non vi è mai capitato di leggere uno dei suoi libri il mio suggerimento è di provare, potrebbe stupirvi.
Per chi fosse interessato martedì 11 luglio, alle ore 21, Banana Yoshimoto sarà al Teatro Franco Parenti di Milano, con Paolo Rumiz. Purtroppo non potrò essere presente ma se dovesse capitarvi, fateci un salto!
-Davide
L’ha ribloggato su Alessandria today.
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