Intervista a Omar Di Monopoli: Uomini e cani

Ci siamo incontrati un pomeriggio afoso nel cuore della settimana. Il luogo dell’appuntamento era l’atrio del Turin Palace Hotel, un albergo che dire elegante e raffinato è dire poco. Abbiamo atteso qualche minuto, con quell’ansia che ti accompagna ogni volta che devi incontrare una persona nuova, che non conosci. Ed è così che lo scrittore, Omar Di Monopoli, ci ha trovati, facendoci compiere un piccolo sobbalzo nel momento in cui ci ha chiamati, alle nostre spalle.

A intervistare l’autore con me era Alessandra Chiappori, collega blogger (à contrainte) e giornalista. A tenere i tempi e a introdurci è stata Francesca Marson (Nuvole d’inchiostro), che insieme ad Adelphi ha reso possibile il nostro piccolo conciliabolo. E così, una volta fatte le dovute presentazioni, abbiamo preso posto su un ampio divano e ci siamo gettati subito a capofitto nell’intervista.

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L’oggetto della nostra chiacchierata è stato Uomini e cani, l’esordio letterario di Omar Di Monopoli, ripubblicato proprio per Adelphi undici anni dopo. Il libro è un romanzo corale che si svolge nella cittadina immaginaria di Languore, in Puglia. Qui, sotto  la pressione di una serie di interessi tutt’altro che limpidi, ci si prepara alla trasformazione dell’area circostante in riserva naturale, con tanto di sfratti dalle case che nel corso degli anni sono spuntate come funghi. Proprio per evitare di abbandonare la terra in cui ha vissuto per molti anni, Pietro Lu Sorgi, il vecchio eremita, com’è conosciuto da tutti, compie un gesto inconsulto che porterà a una cascata di atti di sangue. E poi c’è la famiglia dei Minghella, allevatori di cani per scontri clandestini, al soldo dell’ambizioso Don Tito Scarcella, il proprietario del resort che sorgerà proprio all’interno della riserva.

Il motivo, o meglio i motivi, per cui si è data nuova vita al romanzo sono stati un po’ il nostro argomento per rompere il ghiaccio. Ne parlo al plurale perché lo scrittore non ha dubbi sul fatto che siano molteplici. Anzitutto l’approdo in una casa editrice così prestigiosa gli ha permesso, con una squadra di editor al fianco, di mettere mano a un romanzo che, benché in prima edizione fosse contraddistinto da una lingua tornita, era ancora un po’ acerbo. Così ha “rivoltato come un guanto” il suo lavoro e operando su costrutti, metafore e dialetto ha dato alla luce “un romanzo diverso ma allo stesso tempo il medesimo romanzo, con la medesima forza prorompente di quello originale”. E questa forza risiede in una certa imperfezione che ha cercato in tutti i modi di mantenere.

Un altro motivo poi è la maturazione come scrittore, con un conseguente e naturale affinamento degli strumenti narrativi in suo possesso. Così avere di nuovo tra le mani il libro da cui tutto è partito gli è sembrata “una manna dal cielo”. Un po’ come nel lavoro del traduttore la riscrittura, dopo il dovuto tempo di riposo del testo, ha un significato di valorizzazione dello stesso.

Tra le operazioni compiute, si sono, per l’appunto, rimaneggiati tutti quei dialettismi che, facendo contrasto con la lingua aulica del contesto narrativo, sono l’anima del romanzo. Nell’edizione originale il dialetto era “arrembato, costruito per fare rumore.” Ora, non solo è stato adeguato allo standard qualitativo Adelphi ma anche alla maturazione della voce dello scrittore di cui parlavo sopra e al suo nuovo standard di scrittura. E così “[Il dialetto] è un portato letterario che diventa un sovrappiù alla storia.” La giustapposizione dei registri, aulico e dialettale, fa sì che la lingua non sempre sia di facile accesso per il lettore ma, come McCarthy, lo scrittore rivela, “cerco di imbastire un mosaico che è anche stilistico. L’idea è quella di fornire una voce coinvolgente”.

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E proprio in merito allo stile va fatta una precisazione. Il modello al quale si rifà Uomini e cani, ma anche gli altri libri che fanno parte di quello che è partito come una trilogia ma che si è gradualmente trasformato in un vero e proprio universo letterario, è il Southern Gothic americano. E da questo genere l’autore ha preso, per l’appunto, in prestito i suoi stilemi. Come, ad esempio, l’utilizzo di metafore e paragoni animaleschi facendo riferimento ai suoi personaggi che subiscono “una regressione belvesca”. Ed è tipico del Southern Gothic ricorrere a una certa animalità e agli istinti più voraci che contraddistinguono l’essere umano. Quello che ha tentato di realizzare, e che tenta tuttora, è “fare di questo sud l’idea di tutti i sud possibili”, universalizzare il discorso. È per questo che il punto di partenza sono gli stilemi del Southern Gothic ma si va oltre e si “mediterraneizza” questo schema. Ma non è tutto, tramite l’adorazione di modelli stranieri si è poi riappropriato di modelli letterari italiani (Verga, Capuana e i veristi, Bufalino, Fenoglio) e ha creato questo universo dal quale difficilmente il lettore vorrà scollare gli occhi.

Languore, come suggerisce il vocabolario, esprime un senso di vuoto e di fame. Si tratta di un luogo inventato, certo, ma i riferimenti geografici sono quelli della sua Puglia. Costruire una propria contea personale, sulla scia di quella faulkneriana, affondare le proprie radici nel genere, consente una maggiore facilità di manovra nel manipolare la realtà a proprio piacimento. È proprio in virtù di questa premessa che la letteratura di genere spesso permette di raccontare meglio quella realtà. Nella Puglia di Di Monopoli viene raccontata la Puglia dello scrittore ma altresì viene celebrato “l’èpos della provincia. Una provincia che finisce per somigliare a tutte le province. Che non è un esatto calco della realtà ma un verosimile calco della realtà.”

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Leggere Uomini e cani mette in dubbio la possibilità di redenzione dei suoi personaggi. Come ogni libro, dice qualcosa in più al lettore che allo scrittore. Se il lettore non trova redenzione nel romanzo probabilmente significa che non l’ha dentro di sé. “Lo scrittore imbandisce una tavola utilizzando gli ingredienti che con gli anni ha imparato a usare e mette a punto delle ricette, ma poi sono i lettori che finiscono per decidere.” Chi scrive dunque, è solo un osservatore di realtà complesse, mentre chi legge fa parte delle storie e ha la responsabilità di interpretarle.

Nel suo ruolo di osservatore, forte di un background fumettistico ed essenzialmente visivo, quando scrive attende che la storia gli si racconti. Parte sempre da impressioni visive, “istantanee di vita che mi capitano davanti agli occhi e poi finiscono per maturare, in breve diventano una storia.” Il passaggio successivo è quello di mettersi a tavola e raccontarla, questa storia, in un processo di costante rielaborazione che, almeno per lui, non ha nulla di maledetto, semmai qualcosa di nevrotico.

Al termine di questa lunga e piacevole chiacchierata sono stati un’esplosione di sorrisi e l’immancabile firmacopie a firmare il nostro congedo. Con l’attitudine di stalker innocui ci siamo poi spostati per la serata di presentazione del libro alla Libreria Therese, chiudendo in bellezza una giornata di grandi emozioni letterarie.

Uomini e cani lo potete trovare nella vostra libreria di fiducia, in attesa di diventare anche la vostra storia.

-Davide

P.S. Le foto all’interno dell’articolo sono state scattate da Francesca Marson alla quale va ancora un grande ringraziamento.

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