#ReadChristie2019: Poirot a Styles Court

Siamo giunti quindi alla fine di gennaio e questo per noi significa solo una cosa: tirare le somme del primo mese della #ReadChristie2019. L’hashtag ha coinvolto più persone di quelle che ci aspettassimo, in meno di un mese più di cento post e innumerevoli stories (non siamo riusciti a contarle!!) sono stati creati su Instagram. La maggior parte dei contenuti sotto il tag è di profili italiani!

La calorosa accoglienza ci ha riempito di un piacere sincero: Agatha c’è, viene letta e continua a essere amata ancora oggi! Ci siamo persi tra le vostre recensioni, i vostri contributi, le infinite wishlist, gli unboxing. Per non parlare poi dei tredici instagrammer e non solo che abbiamo chiamato in causa, pronti a risolvere, indizi e cartoline alla mano, il mistero dei misteri: perché dopo quasi cento anni dalla prima pubblicazione di Agatha, ancora se ne parla così tanto? Come mai sembra essere nato un nuovo interesse accademico pronto a liberare il lavoro letterario della Christie dalle grinfie dell’elegante ma pregiudizievole etichetta del “Giallo”?

Ci saranno moltissime occasioni per affrontare la questione, per il momento possiamo fare alcune considerazioni sulla prima opera di Agatha, il primo libro pubblicato da un editore, che ha portato alla nascita dell’investigatore dal baffo più impomatato che esista, Poirot a Styles Court.

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A sinistra la prima edizione inglese, edita nel 1921 in UK (precedentemente pubblicata nel 1920 negli USA); a destra una delle ultime edizioni pubblicate in Italia da Mondadori.

Agatha si avvicina al mondo della Detective Fiction per una scommessa fatta alla sorella Madge. Quest’ultima la provocò dicendole che non sarebbe mai stata capace di scrivere un romanzo giallo come quelli che Agatha leggeva in ospedale durante il suo servizio di volontariato. I libri menzionati da Madge sono i classici di Arthur Conan Doyle, il papà di Sherlock Holmes. Agatha non aveva tuttavia intenzione di copiare lo scrittore: “Non dovevo rifare un altro Sherlock, però, bisognava che mi inventassi un personaggio originale, al quale anch’io avrei fornito una specie di spalla” (cit. La mia vita, Mondadori). Esempi che le vennero in mente furono quello di Arsenio Lupin, seppur fosse un corrispettivo criminale, e Rouletabille del Mistero della camera gialla.

Agatha però voleva puntare su un personaggio al quale nessuno aveva ancora pensato… come procedere dunque? Le venne in aiuto la colonia di rifugiati belgi che, scappati dalla guerra, vennero accolti nella parrocchia di Tor. Li vide spesso in giro per la sua cittadina, e venne poi a conoscenza di un certo Jacques Joseph Hamoir, poliziotto belga ormai in pensione ospite di una sua amica di famiglia.

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Jacques Joseph Hamoir. Poirot?

Era fatta, l’investigatore c’era, e provvisto di tutte le sue manie e caratteristiche: testa a uovo, baffi imponenti e impomatati, scarpe di vernice sempre lucide, una fissazione per l’ordine e la simmetria. Era nato Poirot. Ma trasse spunto da persone realmente esistenti anche per altri personaggi. Un uomo con una folta barba nera e degli occhiali che vide nel cortile dell’ospedale nel quale lavorava e una donna robusta che amava parlare di bulbi e fiori le diedero l’dea per Alfred Inglethorp e Evelyn Howard. Mancava solo l’arma del delitto, e quale arma era più azzeccata del veleno, che la circondava nel suo lavoro ogni giorno? Poirot a Styles Court stava prendendo forma.

Poirot era un ometto dall’aspetto straordinario. Era alto meno di un metro e sessantacinque, ma aveva un portamento molto eretto e dignitoso. La testa era a forma di uovo, costantemente inclinata da un lato. Le labbra erano ornate da un paio di baffi rigidi, alla militare. Il suo abbigliamento era inappuntabile. Penso che un granello di polvere gli avrebbe dato più fastidio di una ferita. Eppure questo elegantone, che ora zoppicava leggermente, era stato ai suoi tempi uno dei funzionari più in gamba della polizia belga. Come investigatore, aveva un fiuto straordinario. Aveva all’attivo numerosi trionfi, essendo riuscito a risolvere i casi più complicati.

  • Hastings incontra Poirot; Poirot a Styles Court, Agatha Christie, Mondadori

La redazione del manoscritto procedette spedita fino a quando, Agatha, pressata dalla madre, andò in vacanza a Dartmoor. Lì passava la mattinata a scrivere, faceva lunghe passeggiate durante le quali borbottava a mezza voce i dialoghi e la trama della sua storia e scriveva ancora. Una routine degna di uno scrittore di best seller che si rispetti.

Il volume venne completato nel 1916 (benché il libro sia ambientato nel 1917), ma Agatha non ricevette subito risposta positiva dagli editori. Solo nel 1919, John Lane, della casa editrice The Bodley Head, le chiese appuntamento per parlare della pubblicazione del manoscritto. Il contratto, firmato il 1° gennaio 1920, segnò l’inizio della carriera da scrittrice di Agatha Christie. Considerata la scarsa malizia della scrittrice, l’editore se ne approfittò includendo nel contratto una clausola con la quale si impegnava a pagarle il 10% dei ricavi solo una volta vendute 2000 copie nel Regno Unito, vincolandola a pubblicare con la casa editrice i successivi cinque titoli.

In simili condizioni svantaggiose, Agatha si imbarcò in un’operazione che la portò dall’essere una scrittrice sconosciuta all’autrice che oggi conosciamo e amiamo (ai limiti della venerazione). Poirot a Styles Court venne pubblicato a puntate sul The Weekly Times,  poi, nel 1920, venne raccolto in un volume unico stampato prima negli States e poi in Inghilterra. È curioso che i più grandi scrittori, studiosi e appassionati di Detective Fiction datino l’inizio della Golden Age of Crime Fiction proprio nel 1920.

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Gli altri romanzi pubblicati con The Bodley Head

Chi si occupò della lettura del manoscritto per l’editore si riferì al romanzo in questi termini: “un romanzo con una certa freschezza” e “nell’insieme raccontato bene e scritto altrettanto bene” fino al più entusiastico dei commenti “spero continui a scrivere detective stories, è evidente che abbia talento“. Oltre a questi commenti, venne apprezzato Poirot, con la sua personalità esuberante “finalmente una variazione sul tema dei detective“.

L’unica elemento che non convinse l’editore fu il contributo di Poirot nel processo ai Cavendish. Il riferimento è al denouement del manoscritto originale, in cui la spiegazione del delitto da parte di Poirot prende atto con l’investigatore al banco dei testimoni. L’editore chiese ad Agatha di riscrivere quella parte. Lei non si oppose, e anzi modificò la scena spostandola all’interno del salotto di Styles e creando l’archetipo che ormai tutti noi abbiamo in mente. Tutti i sospettati seduti comodamente mentre il famoso investigatore belga sciorina la soluzione dell’enigma.

E così venne alla luce The Mysterious Affaire at Styles (Poirot a Styles Court). Agatha però non si limita a mettere insieme le parti della tradizione holmesiana, ovvero la coppia di investigatori, l’enigma da risolvere e gli indizi da raccogliere, ma con la sua scrittura delizia il lettore sfruttando una vena ironica che forse al giorno d’oggi è più difficile da cogliere. Oltre a questo poi, la Christie riesce a dipingere un affresco affascinante della realtà inglese durante il primo conflitto mondiale.

Viene facile il paragone tra Hastings e Watson. Arthur è un uomo estraneo al primo Novecento, ancorato a vetusti valori vittoriani che comportano la romanticizzazione della giovane figura femminile che, ai suoi occhi, appare pura (se è poi dotata di capelli rossi, il gioco è fatto). Ma Hastings è anche il ritratto dell’uomo medio di quegli anni.  Ha partecipato alla Battaglia della Somme nel 1916 e si ritrova in congedo per malattia. Tornato nel suo paese si rende conto di come la vita è cambiata. Certo, viene ospitato dall’amico John Cavendish a Styles, la dimora di campagna famigliare, dimora che porta i segni dello sforzo collettivo al quale i cittadini vennero sottoposti durante la guerra. Il numero dei giardinieri è drasticamente ridotto,così come le cameriere e i servitori, e sono diminuite le razioni (viene citato anche il fatto che a quanto pare a Styles non si vedono limoni da anni) e la disponibilità economica. Cosa che fa sorridere, se si pensa che i personaggi si lamentano di non avere abbastanza denaro, ma non rinunciano in toto alla servitù, un po’ come una certa Mrs Ramsey in Gita al Faro, che si strugge pensando ai 75£ che dovrà spendere per riparare la serra della casa delle sue vacanze.

Poi, all’interno del romanzo vengono trattati i temi dell’immigrazione, dell’accettazione da parte degli inglesi dei profughi del Belgio, che non vengono condannati per la decisione di abbandonare il loro paese. Si potrebbe anche aggiungere che il personaggio Alfred Inglethorp ricalca un po’ quei brutti stereotipi che venivano associati alle persone ebree: folta barba nera, occhiali su un naso quasi posticcio, fare incerto e sospetto.

Di considerazioni se ne potrebbero fare a bizzeffe. Ogni singola riga, ogni battuta rivela come al di là della semplice (ma poi, quanto semplice?) trama da romanzo poliziesco, si cela invece un vero e proprio romanzo-fotografia dell’Inghilterra rurale del periodo.

Fonti:

 


Per quanto riguarda la #ReadChristie2019 , la tappa di febbraio richiede la lettura di una storia con protagonista Miss Marple. Ricordiamo che valgono romanzi, un racconto, audiolibri o radiodrammi. Le possibilità sono infinite, come il potere delle celluline grigie del nostro investigatore belga.

 

-Marco

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