L’anno nuovo – cosa che ormai sarà nota ai più – non porta soltanto la cosiddetta lista dei buoni propositi ma anche una nuova #ReadChristie! Il tema principale di questo rinnovato percorso di letture, come indicato dalla Agatha Christie Limited, è duplice: Metodi e Moventi. E quale movente migliore per iniziare se non uno dei più ricorrenti della crime fiction? Stiamo parlando della gelosia, emozione che ci ha portato a leggere La parola alla difesa.
Sad Cypress – come da titolo originale – è stato pubblicato ufficialmente nel Regno Unito nel 1940, ma già alla fine dell’anno precedente era apparso serializzato su alcune riviste americane. Il titolo dell’opera fa esplicito riferimento al sad cypress di Shakespeare, nella Dodicesima notte: «Vieni, morte, vieni e ch’io sia adagiato sotto un funebre cipresso: estinguiti soffio della mia vita. Una bellezza crudele mi ha ucciso». A buon intenditor poche parole.
La trama ricorda vagamente la puntata di un legal drama (con qualche dettaglio à la Fletcher, signora Fletcher). Laura Welman è una ricca vedova con un’aura da benevola matriarca, nonché la proprietaria di Hunterbury Hall. Costretta a letto da una malattia invalidante, la donna non ha altri famigliari al mondo a eccezione di due nipoti, Eleanor Carlisle, con cui è imparentata per legami di sangue, e Roderick Welman, nipote del suo defunto marito. Eleanor è erede universale del patrimonio della zia, ma ha la ferma intenzione di sposare Roderick, per cui godrebbero entrambi della sua eventuale dipartita. A scombinare i piani di futura prosperità è l’arrivo di una lettera anonima, che avverte i due giovani di un sospetto avvicinamento di Mary Gerrard, la figlia del custode di Hunterbury, a Laura Welman. Avvicinamento che renderebbe meno chiaro il contenuto del testamento della ricca zia.
Assomiglia a un legal drama, dicevamo, perché la storia inizia con un brusco incipit in medias res, in tribunale. Alla sbarra c’è Eleanor Carlisle, accusata dell’omicidio di Mary Gerrard. A partire da questo bizzarro prologo, fino al denouement conclusivo nel medesimo tribunale, il romanzo è una sorta di variante dell’indagine in prospettiva. La storia riprende dal principio, dall’arrivo della lettera anonima, fino alla morte di Mary Gerrard e alla soluzione del caso, resa possibile esclusivamente grazie all’intervento di Hercule Poirot.
La modalità con cui viene commesso il delitto e la cura con cui gli indizi sono disseminati lungo la storia sono testimonianza dell’ingegno diabolico che si nasconde dietro La parola alla difesa. Unica pecca di un romanzo altrimenti perfetto sono alcune piccole incoerenze che riguardano la morte di Mary Gerrard. Ma, se si è pronti a credere nel caso un po’ più sentitamente del solito, sono tutto sommato accettabili.
La parola alla difesa ricorda, per ambientazione, il racconto Testimone d’accusa (1925). Eleanor Carlisle è una donna bella e dotata di una grande forza d’animo, ma sembra soltanto un prototipo – se è possibile parlare di prototipo facendo riferimento a un racconto che è uscito molti anni prima – di quella che è stata Christine Vole. Ma in entrambe le storie la vera protagonista è la passione, che nel caso del romanzo è sicuramente motivo di una profonda gelosia da parte di Eleanor nei confronti di Mary.
Qua e là si scorgono frammenti di quella che è stata la vita dell’autrice. Per esempio, Roderick Welman dichiara apertamente di nutrire una certa insofferenza per i malati e la malattia in generale. Tanto da faticare a visitare la zia quando la malattia volge al peggio. È questo un tratto che condivide con Archibald Christie, il primo marito di Agatha Christie. Di questa avversione per la debolezza, Christie racconta nella sua autobiografia. Ma non ci sono solo dettagli trapiantati dalla sua vita privata e sentimentale. È evidente, così come in numerosissimi suoi romanzi, una conoscenza approfondita dei veleni e della medicina in generale. Una competenza per cui era già stata lodata ai tempi di L’assassinio di Roger Ackroyd.
Come tutte le storie che vedono protagonista Hercule Poirot, il romanzo è stato adattato per la televisione nella forma di un episodio della serie con David Suchet. E proprio la presenza ingombrante dell’investigatore baffuto è stata oggetto di ripensamento da parte della scrittrice, in seguito alla pubblicazione del libro. In parte questi dubbi trovano corrispondenza nel materiale letterario. Poirot non è così indispensabile alla storia come potrebbe sembrare a prima vista. Non è il deus ex machina che chiude la faccenda con pochi metaforici colpi di reni mentali. È più un pacato consulente che porta alla soluzione del caso nel minor tempo possibile con gentili colpetti assestati qui e là.
La parola alla difesa è uno di quei romanzi di cui, almeno qui in Italia, si sente parlare molto poco. E certo non è brillante e “scioccante” quanto altre sue più famosi controparti (il riferimento qui è sempre a Testimone d’accusa, ma non solo). Tuttavia, si tratta comunque di un ottimo giallo, che riesce a essere al contempo quanto di più tradizionale possa esistere nel genere e quanto di più ingegnoso possa venire fuori da una concitata avventura in tribunale.