#RadicalBookFair | Intervista a Vanni Santoni: insegnare la scrittura, i libri, l’editing

Vanni Santoni (1978), dopo l’esordio con Personaggi precari, ha pubblicato, tra gli altri, i romanzi Gli interessi in comune (Feltrinelli 2008), Se fossi fuoco arderei Firenze (Laterza 2011), la saga di Terra ignota (Mondadori 2012-17), Muro di casse (Laterza 2015), La stanza profonda (Laterza 2017, candidato al Premio Strega), I fratelli Michelangelo (Mondadori 2019). Scrive sul Corriere della Sera e dirige la narrativa italiana di Tunué. Il 21 maggio uscirà per minimum fax il suo saggio La scrittura non si insegna.

Uno dei nomi più conosciuti all’interno del panorama attuale della letteratura italiana è quello di Vanni Santoni, che oltre a scrivere, si occupa anche della collana di narrativa italiana di Tunué. Proprio di questo abbiamo discusso, trovate qui le sue parole.


Vanni Santoni, oltre a essere l’autore di diversi romanzi tra cui I fratelli Michelangelo (Mondadori) e La stanza profonda (Laterza), scrivi per diverse riviste letterarie, magazine, quotidiani nazionali. Ma sei anche il direttore della narrativa Tunué, della collana Romanzi. Diventare editor è un passo naturale per chi scrive?

Non credo, a me è capitato ed è vero che nel panorama letterario italiano contemporaneo ci sono molti editor che sono anche scrittori – si pensi ad esempio ad Antonio Franchini, che è uno dei più grandi editor italiani ma anche autore di romanzi raffinatissimi, o a Nicola Lagioia, per lustri editor della narrativa italiana minimum fax, o ancora a Christian Raimo, Chiara Valerio o Rosella Postorino, così come editor affermati che hanno poi pubblicato un romanzo, come Marco Peano tra i giovani o Alberto Rollo tra i veterani. Del resto simili “congiunture” non sono che la conferma di un’affinità che è sempre esistita nella nostra tradizione, basti pensare a Calvino, Vittorini e Pavese, oppure, oggi, a Roberto Calasso. Ma ci sono anche molti bravissimi editor che non si sognano di scrivere un romanzo, e ancor più bravissimi scrittori che non mettono le mani nei “libri degli altri”. Penso che semplicemente a volte questi due modi di stare sui libri si incrocino per la loro naturale prossimità.

Come si dirige una collana di narrativa italiana all’interno di una casa editrice che per molti è solo collegata ai graphic novel? Gli immaginari si mischiano?

Ho sempre avuto la massima libertà nelle scelte per la collana, l’unico accorgimento specifico riconducibile alla questione che ponete è stato quello di avere delle copertine poco “grafiche”, nude, solo colore e logo, per differenziarsi in libreria dai fumetti. Ma era una scelta che andava nella direzione che avevo già in mente, dato che volevo dare l’impressione di qualcosa che non perdesse tempo con decorazioni o specchietti per allodole; qualcosa in cui si capisse da subito che l’unica cosa a contare è il testo.

Vanni Santoni

Domanda di rito: come fai scouting? Dove trovi gli autori o i manoscritti?

Sulle riviste. In genere trovo un autore o un’autrice cercando gente che abbia una voce interessante tra chi pubblica racconti nelle tante riviste online o cartacee, e da lì costruiamo assieme il romanzo. Solo in un caso ho trovato un autore dalla “slush pile”, ovvero il mucchio dei manoscritti inviati alla casa editrice, che negli anni è diventato una fonte sempre meno promettente, dato che chi scrive seriamente in genere sa che il modo per farsi notare è scrivere tanto sulle riviste e farsi un nome lì, e non inviare manoscritti al buio come fossero messaggi in bottiglia.

Tra i diversi titoli proposti ci sono stati molti successi, e non solo tra i lettori, ma anche per la critica. Est di Gianluigi Ricuperati, Il giorno della nutria di Andrea Zandomeneghi e L’amore a vent’anni di Giorgio Biferali sono solo alcuni. C’è un filo conduttore che unisce i diversi titoli della collana? Come si lavora da scrittore con altri scrittori?

La mia linea principale è sempre stata quella della qualità della prosa. La presenza di una voce forte, che implica una precisa ricerca letteraria. Due esordienti come Zandomeneghi e Biferali non potrebbero essere più diversi per temi, stile, afflato, ambientazioni, ma hanno una cosa in comune: scrivono bene. Nella collana Romanzi ci sono vari fili conduttori: uno più intimista e melò, a cui fanno capo Stalin+Bianca di Iacopo Barison o lo stesso L’amore a vent’anni di Biferali, ma anche, per ragioni diverse e con tutt’altro approccio, Tutti gli altri di Francesca Matteoni; uno più pulp ma sempre con la scrittura al centro, come nel caso di Mescolo tutto di Incretolli o Medusa di Bernardi; uno intertestuale, afferente al filone di Max Frisch, con testi come La stanza di Therese, Ricrescite o il recente Configurazione Tundra; uno più “nero” e di sconfinamento, con libri come Dalle rovine o Lo Scuru; e ancora uno più fantasioso e stralunato – penso a Talib, o la curiosità o all’ultimo nato, Taccuino delle piccole occupazioni di Graziano Graziani. Siamo stati anche visti come una collana “di esordi”, ma quello è stato più un far di necessità virtù. Era un esordio il primo titolo, Dettato di Sergio Peter; lo era il secondo; lo era il terzo, e a quel punto, una volta che si era formata quell’identità e i lettori la riconoscevano, perché non continuare a puntarci forte?

2020-05-06

Parlare di collana oggi sembra strano, visto che molti editori a volte spingono più sui singoli titoli (un po’ come nel mercato anglofono) per approfittarne nel breve periodo. Curare una collana oggi è radicale?

Per certi versi sì. Il marketing editoriale non ci fa più molto caso e sappiamo che le major hanno deliberatamente smantellato le proprie collane, pubblicandoci di tutto, dal capolavoro della letteratura al romanzetto dell’attore, del cantante o della presentatrice. Ma le collane sono e continueranno a essere il sale dell’editoria come arte e progetto culturale. Anche per questo mi piacerebbe vedere il Nobel assegnato a Roberto Calasso, come abbiamo suggerito nell’ultima diretta della rivista “L’Indiscreto.”

Ci sembra naturale chiederti se e come questo tuo lavorare “dietro le quinte” ha modificato il tuo approccio verso la scrittura e soprattutto verso la lettura.

Ho imparato molto, specialmente quando ho lavorato a romanzi scritti da gente molto più giovane di me.

Sappiamo che il lavoro collettivo è un po’ il tuo forte, visto anche l’esperimento di SIC, scrittura industriale collettiva, ideato con Gregorio Magini. Da questo è nato In territorio nemico, un romanzo a 230 mani. Ce ne vuoi parlare?

Sulla SIC e In territorio nemico, che ha molte, complesse e ramificate implicazioni, sono stati scritti fiumi d’inchiostro, tra interviste, recensioni, saggi e tesi di laurea e dottorato, così penso sia più onesto rimandare il lettore interessato alle sezioni “metodo” e “rassegna stampa” del sito www.scritturacollettiva.org, così che possa approfondire da solo meglio di quanto potrei fare io in due righe. Di certo sono molto contento che si continui a parlarne e che sia ancora preso a modello, anche all’estero, per il suo suo aver affermato una modalità di scrittura collettiva che fosse davvero tale e non solo la somma di varie scritture individuali.

Ti vediamo anche coinvolto nel CCC, il commento collettivo alla commedia di Dante per L’indiscreto, ma non solo. Con L’indiscreto è nata l’idea delle Classifiche di qualità, stilate da una giuria di “grandi lettori” (tra i quali ci siamo anche noi di Radical Ging). Dalla prima classifica è passato più di un anno, pensi che questa modalità funzioni per mappare la letteratura odierna?

Le nuove Classifiche di Qualità si sono rivelate da subito uno strumento potente, non solo per mappare le nuove uscite, ma anche per valorizzare quelle magari meno “spinte” ma di elevato valore. Questo naturalmente non avviene solo grazie al loro funzionamento e alla bontà delle scelte dei giurati, ma anche grazie al fatto che molti di essi – voi compresi, quindi grazie! – poi si impegnano a farle girare su social e stampa. Così, ogni volta che le compiliamo, circolano tantissimo e vengono lette da diverse decine di migliaia di persone, finendo per avere un effetto reale sulla diffusione dei libri che vincono o si piazzano in top-10, sulla loro performance ai premi e in rassegna stampa, e questo credo sia molto positivo, così come la loro capacità di storicizzare, di restare online come listini di “highlight” di un determinato anno.

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Domande marzulliane: qual è il romanzo (o l’autore) che avresti voluto pubblicare? E quello invece che ti ha dato più filo da torcere?

Mi sarebbe piaciuto fare Cartongesso di Francesco Maino, per me uno dei migliori esordî degli ultimi anni.
Non parlerei di autori che “danno del filo da torcere”: c’è chi è più resistente all’editing e chi più duttile, ma l’importante, per l’editor, è ascoltare sempre le ragioni dell’autore e arrivare a un risultato che metta anzitutto in luce la sua voce.

La situazione attuale ha imposto un blocco forzato delle uscite in libreria, ma nelle case editrici non ci si è fermati, anzi. Ci puoi anticipare magari qualche titolo interessante in uscita prossimamente?

Il prossimo titolo della collana Romanzi è il recupero, in volume unico, della collana Zoo diretta a suo tempo da Vasta e Voltolini per :duepunti edizioni, che pubblicò microromanzi di tanti autori amatissimi della nostra narrativa, come Giuseppe Genna, Nicola Lagioia, Giorgio Falco, Evelina Santangelo o Giulio Mozzi. Adesso torneranno tutti assieme.

Prima di lasciarci, considerando il momento difficile in cui stiamo vivendo come pensi che cambierà il mondo dell’editoria finita l’emergenza? Pensi che ci troveremo in una situazione del tipo che le case editrici saranno costrette a stampare meno libri e quindi ad aumentare la qualità generale della produzione?

Cerchiamo di non essere ingenui: le case editrici saranno sì costrette a stampare meno libri ma la conseguenza sarà che diminuirà la qualità generale della produzione, dato che per forza di cose si concentreranno le energie sui titoli che possono fare numeri rilevanti in modo abbastanza certo, che quasi sempre corrispondono a quelli più “facili” e commerciali, e si pubblicherà meno narrativa di ricerca e di alto profilo letterario, che è intrinsecamente più rischiosa sul mercato.

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