La rinnovata giovinezza dei classici

Di recente mi sono ritrovato spesso a ripensare alla traduzione. In particolare, prendendo spunto dall’intervista fatta a Ilide Carmignani sulla ritraduzione di Cent’anni di solitudine a Fahrenheit, alla necessità di ritradurre i classici. Esporrò in breve il mio pensiero al riguardo, senza appesantirvi, ché persone molto più competenti di me ne hanno già parlato.

Ho sentito troppo spesso dire che traduzioni attempate, frutto di scrittori anche piuttosto importanti, come può essere Cesare Pavese con la sua traduzione del Moby Dick di Melville, sono le traduzioni migliori in circolazione, frase spesso accompagnata da commenti denigratori nei confronti di più recenti adattamenti. Innanzitutto mi piacerebbe precisare che, a mio parere, tra le traduzioni pubblicate, non esistono traduzioni migliori o peggiori, ciascuna nasce nel proprio contesto storico e ogni traduttore ha scelto di tradurre una frase o una parola specifica nel modo in cui l’ha fatto sulla base di decisioni ponderate e lunghe ricerche. Tuttavia, proprio in virtù di questo fattore c’è da tenere conto del cambiamento della lingua. La lingua italiana è in costante mutamento, l’italiano che si parla oggi non è l’italiano di vent’anni fa, non si può pretendere che certi vocaboli abbiano lo stesso impatto su lettori di epoche differenti, e non si tratta solo di singoli vocaboli ma anche di sintassi, modi di dire e quant’altro. Risulta perciò necessaria una nuova manipolazione del testo originale e una nuova traduzione. Faccio un esempio per rendere più chiaro il concetto. Nella traduzione di Adriana Motti de Il giovane Holden viene usata più volte la parola vattelapesca, vocabolo che, possiamo dirlo in tutta franchezza, non viene più usato da molto tempo e risulta qualcosa di straniante per il lettore odierno, e la stessa cosa vale per molte altre soluzioni traduttive che all’epoca in cui vennero ideate avevano perfettamente senso ma che ora non lo hanno più.

A volte non è soltanto una questione di dare nuova vita alla lingua d’arrivo, ma di rimanere il più fedeli possibile allo stile dello scrittore e all’anima del testo originale. Per chi di voi avesse sentito il podcast con l’intervista a Ilide, sa che la vecchia traduzione del celebre libro di Marquez è molto creativa, crea un’atmosfera di realismo magico, traducendo nomi di frutta o piante tipiche della Colombia con nomi puramente d’invenzione, generando nel lettore un’immagine surreale che in realtà nel testo di partenza non è presente. Con questo non voglio dire che le traduzioni di scrittori famosi siano delle pessime traduzioni, anzi, molto spesso sono delle letture godibilissime, ma, considerati gli strumenti che il traduttore aveva a disposizione all’epoca per poter svolgere il proprio lavoro, sono figlie del proprio tempo.

Sempre riguardo alla traduzione de Il giovane Holden, in un’intervista per minimaetmoralia, Matteo Colombo, il traduttore dell’ultima edizione del libro di Salinger, spiega come, rileggendo la vecchia traduzione gli sembrasse che al di sotto del testo sentisse muovere qualcosa di interessante, qualcosa al quale però non riusciva ad accedere a causa della lingua di quel testo. Ritengo che questo concetto esprima perfettamente il bisogno di un qualsiasi lettore di leggere una traduzione che sia contestualizzata e fedele al testo originale (perché in fondo possiamo leggere una traduzione apparentemente stupenda ma se non è fedele al testo originale non si tratta forse di un altro libro?), un bisogno di cui spesso non siamo consapevoli. Ritradurre i classici diventa una necessità, perché nessuna traduzione è immortale, hanno tutte una (imprevedibile) data di scadenza. Non si tratta  semplicemente di svecchiare i classici, a questo riguardo mi affido alle parole di Anna Nadotti che, in un’intervista pubblicata sulla rivista Tradurre, dice:

Se una cosa ho capito, a proposito della ri-traduzione dei classici, è che non si tratta di svecchiarli, facendone una nuova traduzione, ma di restituirne intatta la giovinezza.

Il traduttore è l’autore invisibile del testo che cerca di riportarne intatto il contenuto al lettore, e per poter fornire una buona resa, prendendo in prestito le parole di un’altra grande traduttrice, Susanna Basso, il traduttore dev’essere capace di arrendersi al testo, di abbandonarsi attivamente al flusso della lingua.

-Davide

 

6 pensieri su “La rinnovata giovinezza dei classici

  1. Concordo! Proprio in questi giorni sto leggendo un libro di cui viene venduta ancora la traduzione degli anni ’50, all’inizio è stato un vero incubo comprendere proprio il testo in sé e anche ora che sono a metà, la traduzione è un ostacolo che mi impedisce di godermi appieno il romanzo

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  2. SegnaLibro

    Qualche mese fa ho assistito ad un intervento di una traduttrice professionista che trattava i medesimi argomenti, anche lei prese ad esempio Il giovane Holden, mostrando al pubblico la differenza fra le varie traduzioni e il diverso impatto che esse avevano sul lettore. Ottimo articolo! ✌️

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